di Francesco Macrì
La recente espulsione di Peter Gøtzsche direttore del Nordic Cochrane Centre di Copenhagen (Denmark), dal board della Cochrane Collaboration per la sua presa di posizione critica sulla revisione effettuata sulla efficacia del vaccino HPV da molto da pensare.
La Cochrane è uno dei santuari della Evidence Based Medicine (EBM) e l’episodio mette in crisi il concetto della inequivocabilità del EBM: le critiche all’ EBM hanno sempre avuto come spunto gli aspetti negativi legati a come il medico si possa sentire compresso da una Medicina che fa dell’evidenza scientifica unico parametro da considerare per le decisioni cliniche nell’ambito della sua attività di cura, non essendo considerata la possibilità della sua equivocabilità. Risulta, ad esempio, che l’82% dei pediatri americani conosce le Linee Guida che riguardano la pediatria ma che soltanto il 35%, per i motivi sopra accennati, le rispetta!!.
L’EBM è nata ufficialmente nel 1994 con un articolo comparso su JAMA e sicuramente ha rappresentato una tappa fondamentale nella storia della Medicina Contemporanea, affermando il principio che il medico, nella sua attività di cura sul paziente, deve attenersi, sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico, alle conclusioni che la letteratura scientifica mette a disposizione, sempre alla luce della propria esperienza, come affermava David Sacket nel suo famoso articolo “Evidence based medicine: what it is and what it isn’t “. E nell’ambito dell’EBM viene anche prodotto un elenco sulla validità scientifica delle diverse fonti a disposizione, elenco che mette al primo posto le metanalisi e le revisioni sistematiche, agli ultimi posti la descrizione di casi clinici e il parere di esperti.
Il termine Metanalisi fu coniato da Gene Glass nel 1976 intendendo la combinazione di dati ottenuti da più studi sullo stesso argomento, al fine di valutarne l’effetto cumulativo, effect size, fornendo informazioni sia quantitative ( ad esempio la reale consistenza dell’effetto cumulativo) che qualitative ( ad esempio qual’ è il trend prevalente della ricerca in quell’ambito e quali sono i gaps delle conoscenze disponibili). Ma un dato di fatto indiscutibile che le conclusioni di una metanalisi dipendono soprattutto dalla metodologia utilizzata nella selezione degli studi ma, anche con gli stessi studi a disposizione, le conclusioni possono essere sorprendentemente diverse in base a come i dati vengono qualificati: Nakagawa e coll in un articolo recente affrontano il problema della qualità di una metanalisi indicando 10 domande alle quali bisognerebbe rispondere prima di accettarne le conclusioni.
Ecco perché le metanalisi sono in effetti analisi a metà e “non tutto è oro quello che luce” perchè i conflitti di interesse condizionano pesantemente la ricerca: sono sotto gli occhi di tutti ma restano invisibili. Un gruppo di ricercatori ha avuto una bella idea: rendere immediatamente espliciti su Pubmed i conflitti di interesse degli autori di ogni articolo. Del resto, quello della National Library of Medicine (NLM) è un servizio pubblico finanziato con le tasse dei cittadini e le istituzioni statunitensi sarebbero per certi aspetti obbligate a tenere in considerazione le esigenze di trasparenza espresse dagli utenti.
D’altronde il mondo della letteratura scientifica consta di 10 miliardi di budget, 8 milioni di autori, 110 mila dipendenti, 30 mila riviste, 2.5 milioni di articoli per anno: l’1-2% di questi articoli, per ammissione degli stessi autori, presenta rilevanti scorrettezze, parliamo quindi di 25-50.000 articoli.
Il numero delle ritrattazioni negli utlimi anni è decuplicato e la rivista Nature nel 2011 ha reso pubblico il dato che nel 44% delle ritrattazioni gli autori hanno ammesso una condotta scorretta, consistita nella falsificazione dei dati nel 11% dei casi, nel copiare da propri lavori precedenti nel 17 % dei casi, nel copiare da altri nel 16% dei casi.
Ha preso piede anche la pubblicazione di lavori “fake” effettuata con software ad hoc in grado di scrivere testi falsi, i cui pionieri furono nel 2005 tre studenti dell’Institute of Technology del Massachussets che hanno anche diffuso il software incriminato , denominato SciGen, proprio allo scopo di mettere allo scoperto le criticità di questo mondo dell’editoria scientifica; le principali case editrici (vedi Springer) e le principali strutture di ricerca a livello internazionale (vedi il CNR in Italia) si sono dotate di programmi per intercettare lavori generati con SciGen.
Ancora più raffinato e pericoloso è il fenomeno dell’hackeraggio dei siti delle riviste Peer Reviewed (valutazione tra pari) che prevedono, ai fini della pubblicazione, che il lavoro sia valutato da esperti nella materia; gli autori del lavoro possono suggerire esperti alla cui valutazione sottoporre il lavoro e la procedura è stata in certi casi raggirata dagli stessi autori che hanno” hackerato” gli account dei revisori per effettuare loro stessi la valutazione: il tutto è stato denunciato nel 2015 su NEJM da Charlotte Haug con il suo articolo “Peer review fraud- Hacking the scientific publication process”.
E’ stato il motto “publish or perish” a portare a questa situazione, chi pubblica riesce ad avere notorietà, finanziamenti, possibilità di carriera, quindi bisogna pubblicare ad ogni costo!!