Da un articolo pubblicato su una rivista scientifica
Come è noto, nella dieta di ciascuno di noi, specie di quella dei nostri bambini e ragazzi, sono entrati da tempo i cibi ultraprocessati. Sono questi prodotti commerciali che derivano dagli stessi alimenti ai quali ci avevano abituato i nostri nonni ma che non hanno più nulla di questi o che conservano assai poco delle caratteristiche originali. Nei casi estremi, le componenti proteiche, lipidiche, zuccherine e le fibre contenute negli alimenti originali vengono sottoposti a pesanti trattamenti chimico fisici e addizionate di coloranti, aromi, dolcificanti, emulsionanti, esaltatori di sapidità per ottenere un prodotto apparentemente più attraente e più gradevole al gusto. Il tutto viene confezionato in modo da aumentarne la durata e l’appeal ed ampiamente pubblicizzato in ogni sede possibile così da favorirne l’acquisto. Molti alimenti di uso quotidiano appartengono a questa categoria. Tra i più diffusi: barrette ai cereali, barrette sostitutive dei pasti, fiocchi di mais glassati e alcuni cereali zuccherati per la colazione, pane in cassetta confezionato (anche se integrale), yogurt (anche magri) alla frutta zuccherati e aromatizzati, purè di patate istantaneo, polenta istantanea, sughi pronti, crackers, chips di legumi, zuppe o minestre istantanee, succhi di frutta industriali, vegan burger o simili, gallette di riso, fette biscottate, alcuni omogeneizzati. Poiché sul piano commerciale questi prodotti industriali hanno grande successo, sarebbe facile concludere che quanto creato con i cibi ultraprocessato sia uno degli esempi migliori di buon marketing. In realtà, i cibi ultraprocessati sono estremamente dannosi perché associati allo sviluppo di patologie fortemente invalidanti. Nell’adulto è stato dimostrato che tanto più elevato è il consumo di questi alimenti, tanto maggiore è il rischio di soffrire di multimorbilità, ossia di una combinazione di due o più malattie croniche tra cui cancro, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari. Il rischio di morte prematura sembra aumentare del 4%. I dati pediatrici sono meno numerosi ma anche in questo caso sembra chiaramente dimostrata la stretta correlazione tra consumo di cibi ultraprocessati e aumento del rischio di sindrome metabolica, obesità, esofagite eosinofila e alterazioni nello sviluppo fisico e comportamentale.
Lo studio di Rosi e collaboratori riporta alcuni dati molto interessanti perché riguardano una zona, quella del Mediterraneo, nella quale per anni l’alimentazione era quanto più possibile vicina ad una formulazione ideale che il progressivo aumento dei cibi ultraprocessati ha del tutto stravolto. La dieta mediterranea è sempre citata come il meglio e vederla in parte soppiantata da cibi nocivi rende chiaramente l’idea di come sia facile distruggere il meglio sotto la pressione degli interessi commerciali. Lo studio è stato condotto in Italia, Spagna, Portogallo, Egitto e Libano e ha coinvolto almeno 400 gruppi familiari per ciascuno di questi Paesi. La raccolta delle informazioni è avvenuta tramite un questionario inviato a ciascuna famiglia nel quale erano contenute 13 domande capaci di ottenere risposte utili a conoscere le caratteristiche dei soggetti di 6-17 anni presenti nel nucleo sia per ciò che riguardava lo stato di salute sia il tipo di dieta seguita, sia infine, le abitudini di vita. I dati raccolti sottolineano che il 95% dei soggetti di età pediatrica arruolati nello studio mangiava giornalmente cibi ultraprocessati, con una media di 1,8 porzioni al giorno. Il consumo è risultato maggiore tra i soggetti di 15-17 anni (OR 2,74; 95% CI 1,94-3,88), tra quelli sovrappeso o obesi (OR 1,97; 95% CI 1,39-2,80); tra quelli con genitori giovani e con un maggior livello culturale (OR 2.02; 95% CI 1.15-4,31). Inoltre, l’assunzione di cibi ultraprocessati è stata significativamente più elevata nei ragazzi con abitudini di vita poco salutari, quali la scarsa regolamentazione degli orali e del numero di pasti, e la lunga permanenza davanti a televisori e tablet. L’insieme di questi dati sottolinea che i cibi ultraprocessati hanno preso pesantemente piede anche in contesti dove la tradizione alimentare era da sempre impostata in modo corretto e salutare. Se si vuole essere ottimisti, si potrebbe pensare che, proprio là dove le tradizioni culinarie sono correttamente indirizzate, potrebbe essere più facile riprendere la strada giusta, ritornando rapidamente al passato. I dati che indicano che il problema della cattiva alimentazione dei ragazzi ha qualche correlazione con le caratteristiche della famiglia sembra, tuttavia, indicare che il cambiamento potrebbe avvenire con più facilità se lo stimolo a riprendere le vecchie abitudini alimentari venisse dalla famiglia stessa, cosa non sempre facile perché spesso è proprio la famiglia a condizionare il problema. Si ritorna, quindi, ad un problema già visto per altre patologie pediatriche come l’obesità, per la quale il peso della famiglia nel condizionare la patologia o a ridurne l’importanza è dimostrato determinante. D’altra parte, la stessa più alta frequenza di assunzione di cibi ultraprocessati nei bambini obesi sottolinea che, probabilmente i due fenomeni hanno cause comuni tra le quali il comportamento della famiglia è tra i maggiori. Sembra chiaro come, ancora una volta, il pediatra possa avere un ruolo fondamentale nel ridurre i problemi. Lui conosce bene il suo paziente ma può anche esercitare un ruolo fondamentale nel condizionare i comportamenti della famiglia. Parlare di dieta è una abitudine consolidata, Forse sottolineare con più forza i rischi dei cibi industriali può essere utile.
