Francesco Macrì
Diceva Ilkka Tuomi “impossibile dividere la conoscenza in due campi nettamente separati, quello della conoscenza inespressa e quello della conoscenza esplicita” (Corporate Knowledge, 1999). Possiamo ritenere che alla conoscenza inespressa appartiene l’Omeopatia e a quella esplicita appartiene la Medicina Convenzionale? Sì se espressione ed esplicitazione si riferiscono alla capacità di documentare sul piano scientifico la impostazione metodologica delle due medicine, no se consideriamo la espressione e la esplicitazione come prove di veridicità. D’altronde se la conoscenza inespressa si dedica, anche se in modo diverso, agli stessi argomenti di quella esplicita, può rappresentare per essa motivo di arricchimento sul piano epistemologico.
Questo concetto porta alla considerazione che la diversità tra Medicina Omeopatica e Medicina Convenzionale è data erroneamente spesso per scontata e che può essere interessante approfondire questo tema così dibattuto, alla ricerca di elementi comuni tra esse.
Francois Laplantine riusciì nel suo libro, “Antropologia della Malattia” (Ed Sansoni, 1988), ad affrontare, in un modo che mi sentirei di definire perfetto, l’argomento della apparente diversità tra le due medicine, prospettando una chiave di lettura sicuramente originale e interessante.
Laplantine raccoglie interviste fatte a medici e pazienti e la descrizione di malattie fatte da grandi Autori Francesi (Balzac, Proust…) giungendo alla conclusione che i concetti alla base della interpretazione delle malattie e della loro terapia sono in realtà da cogliere nella loro essenza immutabile e universale e sono i seguenti, affiancati in coppia per analogia
Aggiuntivo Sottrattivo Quantità’ Qualità
Sostanza Relazione Omogeneo Eterogeneo
Monomismo Dualismo Individuale Sociale
Interno Esterno Simile Contrario
Inibizione Stimolazione Natura Cultura
Questi concetti, che possiamo considerare transculturali, non risentono né dello scorrere del tempo né delle caratteristiche socioculturali dell’ambiente in cui si vive.
E’ sulla base di questa considerazione che possiamo comprendere come la genetica, che oggi si basa sullo studio molecolare, a metà del secolo scorso si affacciava alle malattie che suggerivano una trasmissiblità considerandole come conseguenze del rapporto tra consanguinei (la scoperta del DNA da parte di Watson e Crick risale alla fine degli anni ‘ 50), e, allo stesso modo, come le malattie che il mondo occidentale oggi definisce in termini di meccanismi patogenetici e affronta con possibilità diagnostiche e moduli terapeutici sempre più aggiornati, in alcune realtà sociali di tipo tribale vengono interpretate dallo sciamano sulla base del conflitto tra il Bene e il Male. Ma sono le stesse malattie! Quei venti concetti elementari, secondo Laplantine, sono immodificabili e condivisibili, al punto tale che organizzandoli in modo coerente è possibile individuare modelli essenziali di interpretazione delle malattie, che sono sempre affiancati in coppia per analogia:
Endogeno Esogeno
Ontologico Relazionale
Additivo Sottrattivo
Benefico Malefico
Essi hanno una loro rilevanza non solo teorica. Pensiamo ad esempio al modello endogeno-esogeno: endogeno è quello adottato dal paziente che esprime “ mi sono preso la tale malattia”, esogeno è quello adottato dal paziente che esprime “mi è venuta la tale malattia”. La malattia in realtà è la stessa ma la differenza sta nel modo in cui il paziente la vive. E non è differenza da poco visto che il paziente che fa suo il modello endogeno risulta rispondere meno alla terapia, in linea con l’idea che la malattia è dovuta ad una sorta di autoderterminazione e quindi interventi dall’esterno hanno scarsa possibilità di successo.
Così i modelli di terapia, sempre in coppia:
Adorcistico Esorcistico
Omeopatico Allopatico
Sedativo Eccitativo
Additivo Sottrattivo
E la flessibilità che consente l’accostamento dei modelli di interpretazione delle malattie può, analogamente, consentire il passaggio da un modello di terapia all’altro, posti nella stessa coppia, in particolare da quello allopatico a quello omeopatico.
In pratica, in un discorso più ampio riguardante l’intera modalità di approccio diagnostico-terapeutica alle malattie, la Medicina Convenzionale e la Medicina Omeopatica sono in contraddizione solo apparente. Ecco un esempio: dietro la classificazione costituzionale degli individui in Carbonici, Sulfurici, Fosforici e Fluorici, affermata in Omeopatia, cosa c’è se non un chiaro richiamo alla genetica, vista come predisposizione individuale a sviluppare specifiche patologie? Gli studi in tal senso hanno evidenziato come i mesoblasti (Sulfurici n.d.r.) sono, ad esempio, a maggior rischio di patologie cardiovascolari e gli endoblasti (Carbonici n.d.r.) sono a maggior rischio di patologie dismetaboliche (Herrera et al, Gerontol. 2004; Ghosh et al, JRSH,2000). Gli stessi concetti alla base di queste considerazioni sono solo apparentemente diversi nella Medicina Convenzionale: infatti, come la Medicina Convenzionale fa riferimento al Genotipo (assetto genetico) e al Fenotipo (manifestazione clinica), così l’Omeopatia fa riferimento alla Costituzione (predisposizione morbosa, quindi genetica) e alla Malattia Cronica (espressione clinica, quindi fenotipo). C’è solo una differenza e sta nel fatto che mentre la Medicina Convenzionale approfondisce l’assetto genetico a livello molecolare, l’Omeopatia intercetta la genetica sul piano Biomorfologico: il soggetto Carbonico con le sue caratteristiche somatiche e funzionali corrisponde ad una specifica situazione genetica diversa da quella del soggetto Sulfurico.
E’ utile ilustrare tali concetti facendo riferimento ad una patologia cronica: consideriamo l’asma bronchiale. La Medicina Convenzionale si dibatte nell’indicare gli aspetti molecolari identificando di volta in volta nuove codifiche di tipo genetico e attribuendo ad ognuna una specifica funzione nel determinare un singolo meccanismo patogenetico senza riuscire a definire il quadro patogenetico globale, sicuramente molto complesso. Gli ultimi studi dedicati all’argomento indicano 3 cromosomi coinvolti nel determinismo della malattia asmatica: 5,6 e 11. Su questi cromosomi sono presenti numerosi geni che codificano per i fattori patogenetici implicati nell’asma bronchiale e, essenzialmente, possiamo identificare 4 gruppi di geni codificanti per ( Mukherjee , J Biol Chem, 2011):
– Le funzioni immunologiche dedicate alla immunità innata
– Le funzioni immunologiche responsabili dell’attività Th2
- – I fattori coinvolti nella biologia e nelle funzioni della mucosa bronchiale
- – La modulazione del “ remodeling” e della funzionalità respiratoria e, quindi, della gravità della malattia.
Questa suddivisione da una parte esprime la complessità della fisiopatologia della malattia e, dall’altra, dimostra la mancanza di una visione organica ed esaustiva del problema.
L’Omeopatia riesce a effettuare tale sintesi, così l’asma dell’endoblasta sarà diversa da quella del mesoblasta, sicuramente perché dietro l’endoblasta ci sono aspetti genetici diversi da quelli che caratterizzano il mesoblasta. E ciò è sufficiente ai fini dell’intervento terapeutico. Che si sia o no in grado identificare a livello molecolare tali differenze, non ha molta rilevanza dal punto di vista del trattamento, come avviene invece per la Medicina Convenzionale che è costretta a formulare di volta in volta, sulla base delle nuove acquisizioni scientifiche, nuove ipotesi di terapia farmacologica, senza però mai riuscire a sganciarsi dalla impostazione che le Linee Guida continuano ad affermare, in base alle quali la terapia di controllo dell’asma è comunque sempre basata da 20 anni su 3 categorie di farmaci (Cortisonici inalatori, β₂ stimolanti e Antileucotrieni): le nuove acquisizioni sperimentali non si traducono in cambiamenti sostanziali. E’ come se l’intercetta terapeutica avvenisse a valle dei meccanismi patogenetici e non a monte.
Ovviamente diviene indispensabile verificare se è possibile l’affermazione che dietro un aspetto di tipo “morfologico”, c’è un corrispondente aspetto di tipo funzionale o, comunque, fisiopatologico. Di fatto è un’affermazione scontata: il soggetto Pulsatilla (capelli e occhi chiari, efelidi, dolcezza caratteriale, seno abbondante, sangue mestruale scuro, angiomi stellati) avrà tendenza a sintomi respiratori , digestivi e circolatori con alcune caratteristiche,che sono sicuramente legate all’assetto genetico di Pulsatilla.
Ma esempi di tale collegamento tra aspetti morfologici e predisposizione alle malattie li troviamo anche nella Medicina Ufficiale: pensiamo come, ad esempio, rapporto tra la lunghezza del 2° e 4° dito della mano porta a differenziare soggetti di genere maschile (rapporto basso) da quelli di tipo femminile (rapporto vicino alla unità) a causa della esposizione o meno al testosterone in gravidanza. Il rapporto di tipo femminile ( ~ 1) si correla ad un minor rischio di cancro alla prostata e malattie cardiache (Jung , BJU int 2011). In pratica si tratta semplicemente di voler affermare, e non vedo remore in ciò, che ad un certo genotipo corrisponde un aspetto morfologico, funzionale e biologico specifico . L’Omeopatia fa direttamente riferimento alla morfologia , alla funzione e alla biologia non avendo, nella sua impostazione metodologica, la possibilità , e forse neanche l’interesse, di studiare e verificare l’assetto genetico.
E nella patologia acuta? Nella patologia acuta, situazione in cui l’Omeopatia tralascia la valutazione dell’aspetto morfofunzionale che potrebbe per certi versi essere fuorviante, viene considerata la sintomatologia in atto sulla base delle modifiche che subisce a causa di fattori ambientali: è lo studio della fenomenologia.
Ma anche in tal caso è dato presumere che ad una espressione clinica, alla quale l’omeopata dedica tutta la sua attenzione per ottenere un inquadramento il più possibile esaustivo, corrisponda un’ alterazione biologica: così la febbre è l’espressione della produzione del Pirogeno Endogeno (IL-1) e l’ittero è l’espressione della iperbilirubinemia.
L’aspetto che sicuramente riveste più interesse è quello legato alla impostazione, sopra accennata, in base alla quale l’Omeopata non si limita a rilevare il sintomo ma pone attenzione anche alle situazioni ambientali o fisiologiche che possono comportare variazioni del sintomo : la tosse di Antimonium Tartaricum peggiora in posizione orizzontale,quella di Bryonia con il movimento, il raffreddore di Pulsatilla migliora all’aria aperta, i sintomi di Nux Vomica peggiorano dopo il pasto etc.. Ora è vero che non abbiamo la possibilità di comprendere perché esistono tali diversificazioni cliniche in fase acuta, non sappiamo perché in un soggetto la tosse sarà da Antimonium Tartaricum e in un altro soggetto sarà da Bryonia o, addirittura, perché nello stesso soggetto potremo avere tosse da Antimonium Tartaricum oppure, in un altro episodio, tosse da Bryonia, ma ogni medico, nella pratica quotidiana, è in grado di constatare come durante una fase epidemica di una certa malattia il quadro sintomatologico tende ad essere diverso da soggetto a soggetto e che nello stesso soggetto il sintomo può cambiare durante il decorso della malattia. E non è vero, in generale, che fattori ambientali di vario tipo possono modificare in modo rilevante la espressione clinica di una malattia? I bambini indiani hanno più tosse e raffreddore se vivono in case con il riscaldamento a legna piuttosto che in case con il riscaldamento a gas, OR 4.2 vs OR 1.5 (Padhi, Annals N.Y. Academy of Sciences, 2008). E’ questo un esempio di quelli che vengono definiti come effetti epigenetici , ma la fenomenologia ha sicuramente degli aspetti in comune con la epigenetica, se non altro nella misura in cui entrambe pongono l’attenzione sulla variabilità clinica di una malattia sulla base di variazioni ambientali, ma forse anche nelle dinamiche cui entrambe fanno riferimento. L’epigenetica ne sta venendo a capo grazie alla scoperta dei meccanismi di metilazione o di acetilazione che sono in grado di inibire o esaltare la trascrizione genica rispettivamente (Bird , Nature 2007), la fenomenologia con la descrizione di ciò che succede attraverso la repertorizzazione, ma entrambe si dedicano ad eventi dotati dello stesso significato. Un esempio: in medicina convenzionale è noto che lo stress è dotato di effetti patogenetici (Le Shan negli anni ’70 dimostrò un aumento di incidenza di neoplasie in soggetti sottoposti a periodi emotivamente stressanti), in omeopatia lo stress rappresentato dalla malattia esplicita gli aspetti mentali ed emotivi ( il Mind),e le loro variazioni, in fase di malattia, qualificano in modo più dettagliato l’espressione di un sintomo .
Tutte le considerazioni di questo articolo devono portare a capire come il progetto della Medicina Integrata non si basa soltanto su un accostamento di strategie terapeutiche, ma anche, e soprattutto, su una condivisione di principi essenziali alla base della modalità di approccio al paziente e alla sua malattia. Ammesso ciò non sarà difficile comprendere e ammettere che , in fondo, sono gli stessi “ tipi di conoscenze, di idee, di innovazioni, che si trovano tra gli intellettuali, nei villaggi tra i contadini, nelle foreste tra i membri delle tribù e anche nelle Università tra gli scienziati”
( Vadana Shiva, The World on the edge, 2000)