Di Francesco Macri
Nel 2013 fu assegnato il premio Nobel a James Rothman , Randy Schekman e al tedesco Thomas Südhof per aver scoperto il meccanismo di comunicazione all’interno del nostro organismo, mi riferisco alle vescicole extracellulari, corpiccioli che sono presenti nei fluidi corporei (sangue, latte materno, saliva…) e che portano con regolarità messaggi alle cellule grazie al loro contenuto in DNA, RNA, enzimi, proteine etc..
In modo analogo possiamo immaginare le azioni del microbiota intestinale che si inscrive all’interno di un sistema complesso di comunicazione con il resto dell’organismo con delle regole che al momento in gran parte non conosciamo.
A seguito del parto per via vaginale si realizza la prima tappa di questo processo che porterà alla diffusione dei microrganismi che andranno a colonizzare tutti i distretti dell’organismo a contatto con il mondo esterno, cure, mucose respiratorie, mucose intestinali, creando un tutt’uno tra genoma dell’organismo e genoma dei microbi ospitati e fatti propri (ologenoma). Il microbioma che riceviamo si calcola essere composto da 2.000 generi, 4-5 mila specie e oltre 300 milioni di geni: i geni dell’organismo umano sono poco oltre il milione e di essi solo 20-22.000 sono attivi e codificanti, il resto rappresenta una sorta di riserva da cui attingere in situazioni critiche. Il microbioma dopo aver colonizzato i vari distretti corporei inizia a comunicare con i vari organi del nostro corpo e, in via preferenziale, con il nostro sistema immunitario, soprattutto attraverso le citochine prodotte in larga misura.
A livello intestinale è indispensabile un equilibrio tra germi commensali innocui (simbionti) e quelli potenzialmente patogeni (patobionti) ed ogni alterazione di tale equilibrio (disbiosi) può essere fonte di disturbi o di malattie, nel peggiore dei casi. Ogni individuo ha un proprio profilo di microbiota, determinato in modo favorevole o sfavorevole dalle abitudini di vita, sport, alimentazione, esposizione ad inquinanti di vario tipo, uso di farmaci etc… Ovviamente la prima tentazione è quella di ristabilire, in caso di disbiosi, un giusto equilibrio della flora intestinale assumendo composti a base di microbi (probiotici).
Tutto ciò per spiegare perché negli ultimi anni si è verificato un grande interesse verso l’uso dei probiotici, sia in campo scientifico che in quello di vita quotidiana, ma in entrambi gli ambiti persiste una certa incertezza. In particolare esiste una certa difficoltà ad individuare o, comunque, ad esprimere le indicazioni corrette all’uso dei probiotici nelle diverse situazioni, tanto da far sì che si tende ancora a considerare i vari probiotici alla sessa stregua. A tale proposito vale la pena di ricordare la definizione di probiotico: la Food and Agriculture Organization (FAO) e la World Health Organization (WHOOrganizzazione Mondiale della Sanità) definiscono come probiotici “organismi vivi che se assunti in quantità adeguate forniscono un beneficio alla salute di chi li riceve”. Già da questa definizione si deducono due elementi essenziali: deve trattarsi di organismi vivi e devono essere somministrati in quantità adeguate.
La possibilità di commercializzare questi prodotti come integratori rende facile la loro immissione sul mercato, ma si tratta di una strategia atta ad aggirare le procedure complesse da adottare per la messa in commercio di questi prodotti come farmaci, procedure che le agenzie regolatorie hanno stabilito giustamente di pretendere per garantire la qualità dei prodotti. D’altro canto ciò ha portato a far sì che sul mercato esista una quantità enorme di prodotti che sia gli esperti e tanto meno i consumatori riescono a giudicare in termini di qualità e di efficacia.
I prodotti più usati sono a base di Lattobacilli e Bifidobatteri, altri di minor impiego contengono altri generi, come Escherichia, Enterococco o Saccaromiceti. Affinché il prodotto sia tenuto in considerazione deve contenere almeno 100 milioni di Unità Formanti Colonie (requisito minimo tecnicamente ma non corrispondente, come si vedrà, all’effetto terapeutico prefisso) e, inoltre, è fondamentale il controllo della catena di produzione: recentemente la Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica ha segnalato come alcune procedure (fermentazione, messa in matrice, storaggio, deidratazione, sceltà di umidità e temperatura) possono alterare in modo significativo la qualità del prodotto.
Il tipo di alimentazione può influire in modo rilevante sulle caratteristiche della flora intestinale e, anche in assenza di assunzione di probiotici, un’alimentazione ricca di Inulina e FOS( frutto oligosaccaridi) che sono abbondanti nelle fibre (frutta e verdura) e che agiscono come Prebiotici, migliora la qualità della flora intestinale.
Da tener anche in considerazione come anche le caratteristiche etniche della popolazione, lo stile di vita (tipo di dieta, attività sportiva, consumo di farmaci) possono influire sulla qualità della flora intestinale. Pur tenendo conto di queste considerazioni, si possono comunque definire le condizioni in cui un uso appropriato di probiotici può essere utile nella prevenzione e nella terapia di problemi sia intestinali che extraintestinali. Ad esempio la diarrea acuta, che rappresenta per antonomasia il problema per cui si ricorre in generale all’uso di probiotici ; due ceppi sono quelli più studiati e messi in evidenza, il Lattobacillus Rhamnosus GG (LGG)e il Saccaromyces Boulardii, seguiti dal Lattobacillus Reuteri e Lattobacillus Acidophilus. Le indicazioni, anche se sostenute da raccomandazione all’uso, non si basano in genere su studi di elevata qualità metodologica, portando comunque a stabilire che il numero di colonie da somministrare dovrebbe essere compreso tra 1 e 10 miliardi al giorno. Il Lattobacillus Reuteri è riconosciuto attivo anche nei casi di diarrea da Clostridium Difficile che si verificano soprattutto nei bambini ricoverati, a causa dell’uso terapia antibiotica durante il ricovero. Un altro esempio è il colon irritabile, per questa situazione gli studi hanno evidenziato l’efficacia a ridurre l’intensità dei sintomi (dolori, meteorismo, diarrea) da parte del Lattobacillo Rhamnosus e del Reuteri, anche se i dati sono controversi. Interessanti anche i risultai ottenuti con il VSL3 che contiene un miscuglio di lattobacilli e bifido batteri.
Dati promettenti ma ancora da verificare per l’uso dei probiotici nella stitichezza, nelle coliche, nella prevenzione delle allergie. In conclusione il mio parere personale è che in certe situazioni l’uso dei probiotici ha una sua giustificazione, anche scientifica, in altre ci si basa sul concetto che il migliorare la qualità e la composizione della flora intestinale offre comunque, in generale, vantaggi (vedi ad esempio il neonato nato da parto con taglio cesareo che acquisisce una flora intestinale diversa e scadente rispetto a quella che avrebbe acquisito nascendo da parto per via vaginale). Sicuramente è importante la quantità di unità formanti colonie da somministrare e che dovrebbe essere compresa tra 1 e 10 miliardi al giorno, mentre la
composizione dovrebbe tener conto di quanto la letteratura suggerisce indicando come più frequentemente in evidenza il Lattobacillo Rhamnosus e il Reuteri , seguiti dai Bifidobatteri (Lactis, Longum) con vantati promettenti effetti su situazioni extraintestinali, come stress, eccesso ponderale, dati interessanti ma ancora da dimostrare. Senza dubbio prodotti con associazione di diversi probiotici tra quelli più segnalati meritano attenzione, ricordando tra l’altro che la diversificazione del microbiota è considerata indice di eubiosi (buona flora batterica) mentre la presenza di una specie predominante è considerata negativamente e tipica in situazioni di malattia, non solo digestiva, pensiamo ad esempio al microbiota delle vie respiratorie e della cute nelle malattie del tratto respiratorio e della pelle rispettivamente.
In pratica dovremmo usare in generale prodotti che contengano più specie di microorganismi, i lattobacilli e bifidobatteri principalmente, almeno 2-3 miliardi di unità formanti colonie, usandoli per un periodo congruo di tempo (non basta certo una settimana a modificare e correggere la flora intestinale, proporrei mesi); siano inoltre prodotti contenenti germi vivi, quelli a base di spore andrebbero evitati, e non usiamoli, come spesso si fa, durante una terapia antibiotica (l’antibiotico uccide anche il probiotico) ma eventualmente dopo il ciclo di terapia. In certe situazioni come coliche, stitichezza, prevenzione delle allergie, o ancor di più nella sindrome dismetabolica o nello stress non abbiamo ancora prove solide della loro efficacia, ma avremo sicuramente altri dati nel prossimo futuro.