Di Marvi Tonus
Tra i pediatri italiani l’impiego di medicine complementari è sempre più diffuso. Da un’indagine emerge che, anche spinta delle famiglie, uno su quattro le prescrive. Un mutamento di scenario che comporta opportunità e rischi
Nelle società multiculturali l’integrazione è un processo inesorabile. Diversi settori, tra cui la pratica della medicina, si arricchiscono grazie alla fusione di saperi, esperienze e prassi di origine differente con risultati migliori della somma delle parti. Tra i pediatri italiani la scelta di integrare terapie ufficiali e terapie complementari è una tendenza in netta ascesa, come emerge da un questionario on line promosso dal Gruppo di Studio medicine complementari (Gsmc) fondato dalla Società italiana di pediatria (Sip) nel 2011. Scopo del Gruppo, che raccoglie circa 80 aderenti, è valutare l’entità di diffusione di pratiche non convenzionali tra i pediatri, monitorare l’insorgenza di eventuali effetti avversi e fornire una corretta informazione e formazione alla categoria.
Uscire dall’alveo della medicina tradizionale basata sulle evidenze scientifiche significa però inoltrarsi in un territorio vasto, la cui geografia deve essere ancora tracciata nei dettagli. Per disegnare una mappa delle terapie complementari utilizzate in pediatria, e dei rischi eventualmente associati al loro impiego nei bambini, sono stati coinvolti alcuni protagonisti come il professore Gian Paolo Salvioli, Direttore del dipartimento di scienze ginecologiche, ostetriche e pediatriche dell’Università di Bologna, segretario del Gruppo di studio medicine complementari della Sip. “Il primo passo è stato superare la contrapposizione tra i pediatri che si affidano in maniera esclusiva alla medicina ufficiale e quelli che, invece, contemplano la possibilità di impiegare pratiche non convenzionali. Fin dal principio si è sottolineata la volontà di considerare l’opzione complementare come un supporto all’azione del pediatra e non come un rimpiazzo, evitando sterili competizioni. Non a caso privilegiamo l’espressione di medicina integrata rispetto a quella più desueta di medicina alternativa”.
Il passo successivo è stato individuare il campo di indagine, come spiega un altro dei partecipanti al Gruppo di Studio Francesco Macrì, professore di Pediatria presso l’Università “La Sapienza” di Roma, vicepresidente della Società italiana di omeopatia e medicina integrata (Siomi) e coordinatore della Commissione per le medicine complementari della Federazione delle società scientifiche italiane (Fism). “Il nodo della terminologia, una questione di sostanza non di forma, è stato sciolto raggiungendo un consenso con la definizione di medicine complementari non convenzionali. Nel complesso si contano oltre 150 pratiche, ma di queste solo alcune hanno conquistato lo status di sistemi medici dotati di una struttura idonea a gestire le malattie in toto, dall’eziologia agli aspetti diagnostici, fino alla proposta di una terapia complementare eventualmente associata a un farmaco tradizionale. Il significato è di esplorare tutte le possibili opzioni di cura per il bambino. A livello legislativo, a differenza dei sistemi medici, le terapie manuali come l’osteopatia, il massaggio e la chiropratica non sono considerate atti medici e non rientrano nell’ambito delle terapie complementari per le quali è richiesta la laurea in medicina”.
Le tre pratiche su cui il Gruppo di Studio si è focalizzato sono la fitoterapia, l’omeopatia e l’agopuntura. “La prima perché nelle piante medicinali si trovano principi attivi la cui efficacia è supportata da evidenze scientifiche, l’omeopatia perché è quella favorita dalle famiglie ma è anche la più discussa nella comunità scientifica e l’agopuntura che vanta una crescente affermazione in Occidente, anche all’interno dei reparti pediatrici ospedalieri” dice Gian Paolo Salvioli.
Sapere per agire
In Italia la popolarità delle medicine non convenzionali è in crescita: dagli ultimi dati statistici circa il 15 per cento delle famiglie utilizza medicine complementari; tra queste, il 50-60 per cento ricorre all’omeopatia per curare i propri figli. Uno dei primi obiettivi del Gruppo di Studio si è concretizzato con la pubblicazione di un’indagine conoscitiva sull’entità di diffusione delle medicine complementari tra i pediatri e sull’atteggiamento della categoria nei confronti di queste pratiche. I risultati sono stati presentati in occasione del Congresso nazionale Sip nel maggio 2012: al questionario, inviato on line, hanno risposto 1.233 soci di cui il 46,8 per cento ospedaliero, il 35,20 convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, il 14 per cento libero professionista, il 7,8 per cento universitario e il 2,2 per cento ambulatoriale. “I dati fotografano una realtà molto interessante” commenta Gian Paolo Salvioli “Il 23 per cento del campione dichiara di usare le terapie complementari, circa un pediatra su quattro; tra questi, l’82,5 per cento sceglie la fitoterapia, il 74,9 per cento l’omeopatia e il 5,8 per cento l’agopuntura. Il restante 77 per cento afferma invece di non proporre le terapie complementari per diversi motivi, il 63,8 per cento perché le ritiene inefficaci, il 33,7 per cento non è interessato il 2,5 per cento le giudica dannose”. Se un quarto dei pediatri non si oppone alla scelta dei genitori che desiderano utilizzare le medicine complementari per risparmiare ai propri figli sintomi fastidiosi dei farmaci o per una delusione verso la medicina tradizionale, il 17 per cento mette in guardia le famiglie sulla pericolosità o l’inefficacia di questi rimedi e il 7,9 per cento posticipa il problema. Dal questionario emerge un altro elemento cruciale. “Il 95 (80 ) per cento dei pediatri che usa le medicine complementari le associa alle terapie farmacologiche classiche” sottolinea Francesco Macrì. “con la chiara intenzione di integrare le due pratiche”. “Un atteggiamento di apertura fondamentale perché le medicine alternative non sono dei sostituti della medicina ufficiale” ribadisce Gian Paolo Salvioli. “Come Gruppo di Studio abbiamo inoltre confermato che l’esercizio di qualsiasi forma di disciplina complementare su un bambino sia riservata a un laureato in medicina specializzato in pediatria e non a un omeopata generico. Le famiglie vanno rassicurate sul fatto che solo il pediatra può inquadrare la patologia, individuare i campi di applicazione e i rischi tipici dell’età infantile”.
Confini ampi, regole stringenti
Dalle classiche malattie stagionali – raffreddore, tosse, faringiti – alle coliche intestinali, dall’insonnia primaria alle infezioni urinarie, dalla stipsi alle malattie della pelle, un’ampia varietà di condizioni patologiche dell’età infantile trova una risposta terapeutica soddisfacente nell’omeopatia, nell’agopuntura e nelle sostanze di origine naturale, come spiega la dottoressa Vitalia Murgia, pediatra di famiglia, esperta in fitoterapia e membro dell’Academy of Phytotherapy. “La maggior parte dei disturbi pediatrici comuni è orfano di un farmaco di sintesi di riferimento, per questo la fitoterapia è una valida alleata del pediatra. Da sempre le piante medicinali vantano impieghi clinici che, alla luce delle conoscenze attuali e delle precauzioni necessarie per l’uso nei minori, possono affiancare la medicina ufficiale con un’efficacia a volte superiore rispetto a quella dei farmaci di sintesi”. Anche l’agopuntura, che ha ottenuto dall’Unesco lo status di patrimonio culturale dell’umanità, si fa strada in pediatria. La pratica sui bambini ha origini molto antiche, risalenti alla dinastia Ming (1368-1643), come spiega il dottor Franco Cracolici, vice presidente della Società italiana di agopuntura (Sia), presidente della Federazione italiana scuole Tuina e Qigong (Fistq), coordinatore scuole della Federazione italiana delle società di agopuntura (Fisa) e direttore della Scuola di agopuntura tradizionale della città di Firenze.“Il testo di riferimento si chiama Zhen Jiu Da Cheng, che tratta ampiamente le patologie pediatriche con tre tecniche fondamentali il massaggio cinese TuiNA, la moxibustione e l’agopuntura classica con aghi piccolissimi”. La moxibustione consiste nell’applicazione di calore generato da una un’erba pressata, l’artemisia vulgaris, a forma di sigaro (che non brucia) in punti specifici del corpo. Un’altra opzione è l’impiego di ventose di vetro, una versione più dolce dell’agopuntura che risale all’epoca greco-romana. In pediatria è inoltre molto importante esaminare gli indici delle mani e le plicature della pelle che esprimono, senza parole, il disagio del bambino. “Con l’ausilio di tutte queste tecniche è possibile trattare l’enuresi infantile, diversi disturbi gastrointestinali come l’addome meteorico, gli spasmi, i rigurgiti e le diarree, le dermatosi anche nei più piccoli, gli attacchi di panico e l’insonnia. O a combattere la nausea provocata dalla chemioterapia nel bambino” continua Franco Cracolici. “L’agopuntura e il massaggio pediatrico,
che si ispirano alla tradizione della medicina cinese, si eseguono a partire dal primo anno di età sul meridiano del rene, definito meridiano della paura, con un effetto rilassante e tonificante per il bambino. Oppure sulla colonna vertebrale, partendo dalla zona lombare e muovendosi verso l’osso sacro, per stimolare la crescita. Per garantire la continuità dei benefici e favorire l’empatia con il figlio, alcune tecniche di massaggio cinese possono essere acquisite anche dai genitori che frequentano gli ambulatori della Fistq”.
Nell’ambito dell’omeopatia i lavori più significativi sono rivolti alla possibilità di modulare la risposta infiammatoria di tipo allergico. “In base alla mia esperienza e ai lavori pubblicati in letteratura” dice Francesco Macrì “asma bronchiale, rinite allergica, dermatite atopica, infezioni recidivanti delle vie respiratorie trovano una buon riscontro di cura con i farmaci omeopatici, con una riduzione dell’impiego di antibiotici”.
Alla prova dei fatti
Dimostrare l’efficacia delle medicine complementari non convenzionali, anche in pediatria, è uno dei capitoli più spinosi. “La letteratura scientifica su queste pratiche è carente” riconosce Francesco Macrì. “Alla radice del problema c’è innanzitutto un’oggettiva difficoltà a svolgere studi clinici controllati all’interno di istituzioni pubbliche dove, tranne rare eccezioni, le medicine complementari non vengono utilizzate e dove spesso il comitato etico non approva i trial condotti con sostanze di cui non è dimostrata l’efficacia. Un classico circolo vizioso. Ma ammettiamo di portare a termine lo studio, l’ostacolo successivo da superare è trovare una rivista accreditata che accetti di pubblicare i risultati, un evento raro, che porta il ricercatore a ripiegare su riviste secondarie. Queste considerazioni spiegano, almeno in parte, perché sia così diffusa la convinzione che manchino valide dimostrazioni scientifiche sulle medicine complementari. Ci sono, ma sono poche rispetto alla richiesta e alle possibilità”. Detto questo, rimane da capire se sia plausibile applicare analoghi criteri di valutazione per pratiche convenzionali e non convenzionali. “Senza dubbio rimane una questione aperta. Negli studi clinici che verificano l’efficacia, intesa come efficacy, vengono arruolati soggetti omogenei per età, sesso, patologia, stili di vita eccetera. Quando invece si intende valutare l’effetto terapeutico in un paziente non selezionato, con un quadro clinico più articolato, si parla di effectiveness. L’approccio olistico della medicina complementare tende a concentrarsi sull’effectiveness piuttosto che sull’efficacy perché si basa sull’osservazione e sull’ascolto del paziente nella sua specificità. Pertanto la metodologia della ricerca clinica classica va un po’ stretta alle medicine complementari che comunque fanno uno sforzo per adeguarsi ai criteri scientifici”. Alcuni anni fa è stato pubblicato un lavoro (Dean ME et al, Homeopathy 2007; 96: 42-5) che illustrava la possibilità di adeguare la ricerca in omeopatia al modello Consort (Consolidated Standards of Reporting Trials), una check-list di 22 punti che, dal titolo alla discussione, definisce i requisiti standard essenziali per la presentazione di studi clinici randomizzati e controllati (http://www.consort-statement.org/). “Il lavoro di Dean, aggiornato col tempo, è un tentativo di applicare gli schemi tipici della ricerca scientifica anche alla medicina complementare” prosegue Francesco Macrì. “Rimane il fatto che in omeopatia è più facile dimostrare l’efficacia di un approccio terapeutico piuttosto che quella di un singolo farmaco”.
Allerta allerta
Dei pericoli derivanti dall’impiego improprio di medicine complementari sui bambini si è letto negli anni scorsi sulla stampa che ha riportato casi eclatanti di sospensione di farmaci salvavita. “I danni più gravi, anche letali, si sono verificati quando le medicine non convenzionali sono state applicate come unica terapia e non come integrazione alla terapia farmacologica di base” dice Gian Paolo Salvioli. “Per fortuna si tratta di episodi sporadici”.
Per evitare rischi il pediatra dovrebbe conoscere i limiti delle terapie non convenzionali, come spiega Francesco Macrì. “Il medico deciderà su quale forma terapeutica puntare ma è chiaro che non dovrà mai sospendere una terapia efficace già in corso per ricorrere a un’altra di cui non è evidente l’utilità”.
Molti prodotti di origine vegetale, classificati come integratori alimentari o dietetici, sono sottoposti a una normativa di controllo sulla sicurezza meno stringente rispetto ai farmaci. E questo può rappresentare un problema di sicurezza. “Poi c’è la questione della corretta titolazione dei principi attivi nei fitofarmaci e della scarsa disponibilità di formulazioni adatte all’uso pediatrico” dice Gian Paolo Salvioli. “Il pericolo legato all’impiego di piante medicinali o rimedi naturali che vantano una tradizione d’uso secolare in pediatria, come la camomilla, il finocchio, l’echinacea, il glucomannano la propoli, la melissa, la piantaggine e così via è molto ridotto” controbatte Vitalia Murgia. “Paragonabile, ma spesso molto più basso, di qualunque alimento o farmaco di sintesi capaci di scatenare una reazione allergica nel bambino. In questo senso il fitocomplesso, vale a dire all’estratto di pianta completo, è sicuro. Eviterei invece la prescrizione di parti di pianta isolate perché i rischi di reazione aumentano”.
Un aspetto non trascurabile riguarda la qualità del prodotto e l’uso improprio da parte dei genitori. “Quando l’estratto non è titolato secondo farmacopea può risultare inefficace o dare effetti indesiderati” prosegue Vitalia Murgia. “Se invece il prodotto è ben standardizzato e la qualità della materia certificata i pericoli per il bambino sono minimi. Consiglio al pediatra di rivolgersi ad aziende credibili e di osservare con attenzione l’etichetta che deve riportare i principali indicatori di qualità del prodotto, il nome comune della pianta, il nome latino, la parte usata e il titolo in principio attivo indicato in farmacopea. Non ci sono limiti di età per l’impiego dei fitoterapici ma preferisco evitare sia le piante sia i farmaci sotto l’anno di età. Dato che il mercato dei prodotti naturali è affidato all’autoprescrizione e alla vendita da parte di operatori privi di una specifica cultura medica, i genitori dovrebbero rivolgersi sempre al pediatra che il dovere di aggiornarsi”.
Se eseguite a regola d’arte, le pratiche della medicina cinese non comportano effetti indesiderati e anche l’agopuntura, che potrebbe incutere paura, diventa una pratica ben accetta quando il terapeuta riesce a conquistare la fiducia del bambino. Il percorso formativo, garantito dalle federazioni, prevede quattro anni di studio per l’agopuntura e tre per i massaggi. “Come per tutti gli atti terapeutici, l’incompetenza rappresenta il rischio maggiore” sottolinea Franco Cracolici. “Anche in l’Italia è necessario favorire una giudiziosa integrazione tra pratiche convenzionali e medicine complementari sperimentate. Sia chiaro, l’agopuntura non intende sostituire la medicina allopatica ma affiancarla. Prendiamo esempio dai reparti pediatrici in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, come il Memorial Sloan Kettering di New York, dove l’integrazione è una realtà a cui credo si ispiri l’ospedale di Pitigliano, in Toscana, unico nel suo genere in Italia dove la medicina classica si confronta, armonizzandosi, con la medicina complementare”.
L’omeopatia è forse la disciplina più sicura dal punto di vista degli eventi avversi: “Se la diluizione del farmaco non è corretta, o il paziente è particolarmente sensibile, i sintomi possono peggiorare, ma è un evento rarissimo” spiega Francesco Macrì.
Nessuno nasce imparato
In Italia non esiste un corso di laurea in medicine complementari e in grandissima parte la formazione è svolta da società e associazioni di tipo privato. “Una delle realtà più interessanti è il Master post universitario in medicina complementare dell’Università di Siena o il Master biennale in fitoterapia all’Università la Sapienza di Roma” illustra Francesco Macrì. “Altre iniziative meno strutturate sono inserite nei corsi di specializzazione in Pediatria all’Aquila o in altre città. Per ovviare a questa carenza, la Commissione Fism ha di recente inviato alle principali istituzioni un documento per individuare i capisaldi di un’adeguata formazione in medicine complementari e promuovere il loro inserimento nell’iter formativo dei medici”.
Il Gruppo fa la forza
Di fronte a un fenomeno che vede coinvolti milioni di cittadini diventa necessaria una valutazione oggettiva dell’attività delle medicine complementari sia in senso positivo sia in senso negativo. Il dibattito è aperto. “Per rendere l’impiego di queste pratiche sicuro, il Gruppo di Studio della Sip ha deciso di istituire un Registro nazionale di segnalazione degli eventuali effetti avversi” conclude Gian Paolo Salvioli. “L’intenzione è stimolare tra i colleghi un confronto alla luce del sole
attraverso convegni e seminari, promuovere l’inserimento di corsi di formazione in medicine complementari in pediatria nell’iter universitario, ottenere un riconoscimento formale dei medici che hanno acquisito specifiche competenze e incentivare sperimentazioni cliniche condotte in maniera metodologicamente corretta. Siamo tutti impegnati a tutelare la salute dei bambini e soprattutto a evitare che si verifichino situazioni di rischio. Perché ciascuno si assuma la responsabilità di prescrivere la terapia più adeguata, complementare, convenzionale o integrata secondo scienza e coscienza”.
Il titolo innanzitutto
La titolazione è un’analisi che consente di valutare la qualità e della quantità dei principi attivi che la Farmacopea ha stabilito necessaria ai fini terapeutici di un fitocomplesso. Tale quantità non deve essere inferiore al livello minimo fissato dalle Autorità sanitarie. La titolazione permette di standardizzare il prodotto in modo da garantire la riproducibilità dell’effetto. Per i prodotti a uso topico e i dispositivi medici, il produttore è dispensato dall’obbligo di indicare in etichetta il quantitativo di pianta perché presenta al Ministero della salute un fascicolo in cui sono riportati tutti i dati. Per l’integratore alimentare, la normativa richiede solo la notifica dell’etichetta.
Questione di etichetta
Di seguito gli elementi essenziali che l’etichetta dovrebbe riportare nel rispetto dei principali indicatori di qualità di un fitoterapico
• Nome della droga vegetale utilizzata
• Titolo espresso in % del componente più importante secondo farmacopea
• Standardizzazione
• Quantità espressa in mg del fitocomplesso
• Informazioni nutrizionali
• Data di scadenza