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La diagnosi tra anamnesi, tecnologia, visita e Dsm

Intervista a Francesco Macrì

Macrì: Il pediatra si formi sui problemi comportamentali

(DIRE – Notiziario Psicologia) Roma, 30 giu. – “Nella diagnosi in medicina il 60% dell’attenzione è dedicata alla storia del paziente, l’anamnesi, il 30% agli esami di laboratorio, il restante 10% all’esame obiettivo: la visita. Percentuali che indicano un cambiamento importante rispetto al passato, quando la visita aveva un’importanza preponderante”. Intervistato dalla DIRE Francesco Macrì, professore aggregato di Pediatria a ‘La Sapienza Università di Roma’, riflette sulle nuove modalità di diagnosi, la patomorfosi e le problematiche più frequenti nell’età pediatrica.

– Che cosa è accaduto in questi ultimi 15 anni a livello diagnostico? “Il miglioramento della tecnologia da una parte e la logica della medicina difensiva dall’altra hanno portato a un ricorso, frequente e rilevante agli esami di laboratorio, mentre l’anamnesi ha conservato il suo ruolo”, risponde il professore. “Il medico oggi può acquisire informazioni dal web, che offre possibilità ampie, e da software specifici per la diagnosi: inserendo i dati del paziente, questi programmi forniscono le diagnosi possibili. Inoltre, da un punto di vista tecnologico, siamo nell’epoca delle indagini molecolari di laboratorio che consentono di verificare le determinanti genetiche alla base delle malattie sofferte dai pazienti. Lentamente le malattie vengono sempre più interpretate su base genetica, e le indagini molecolari rappresentano proprio l’applicazione degli studi di genetica”. – E’ cambiato qualcosa da un punto di vista clinico? “Parlando di patomorfosi, ovvero di come sono cambiate le malattie- precisa il pediatra- è necessario delineare tre aspetti: l’emersione di nuove patologie, vecchie patologie che si presentano in modo diverso e la scomparsa delle malattie infettive”. Nel primo caso, “è normale che nell’evoluzione della specie umana compaiano anche quadri clinici in passato poco conosciuti a causa di sistemi diagnostici approssimativi”. Un esempio è l’Aids: “I primi casi di HIV furono descritti agli inizi degli anni ’80, ma era già presente nei primati anche se sconosciuta al genere umano.

Pensiamo inoltre a forme virali come Ebola- ricorda il medico- esisteva già da tempo ma era sempre stata circoscritta in particolari zone del mondo”.

Vecchie patologie che si presentano in modo diverso.

“Attualmente c’è molto interesse per la tubercolosi, malattia infettiva conosciuta da secoli, oramai abbastanza controllata e circoscritta. Purtroppo però- prosegue l’esperto- la situazione sociale e culturale degli ultimi decenni, la globalizzazione e gli spostamenti di individui attraverso diverse zone del mondo hanno favorito il ritorno della malattia, che oggi si presenta con un quadro di resistenza agli antibiotici. O ancora- continua il professore universitario- le infezioni da streptococco beta emolitico gruppo A nei bambini, che sono portatori nel 20-25% dei casi. Lo streptococco causa una malattia che in passato si complicava spesso con un quadro di reumatismo articolare acuto. Oggi le infezioni da Streptococco sono molto frequenti ma la sua aggressività si è attenuata, probabilmente per un ricorso più attento alla terapia antibiotica, e la complicanza reumatica è abbastanza rara”.

Sul terzo aspetto, “le vaccinazione hanno portato alla progressiva scomparsa di alcune malattie infettive. Oggi molti medici giovani possono non aver mai visto il morbillo, non aver assistito al decorso della tosse convulsa o di una parotite. Le vaccinazioni hanno portato alla scomparsa di alcuni quadri clinici, anche se va purtroppo rilevato che le campagne anti-vaccinali recenti hanno ridotto il livello di guardia e la percentuale di bambini vaccinati è diminuita. Ricordo che una malattia infettiva è sotto controllo quando il 90-95% dei bambini è vaccinato. Questa minore attenzione- chiosa il medico- che negli ultimi anni ha portato a non vaccinare i bambini, ha recentemente risollevato i numeri di alcune patologie, come il morbillo”.

– Crede che l’infanzia sia maggiormente attenzionata? “Lo è sicuramente, ormai la medicina si orienta verso la prevenzione ed è noto che una serie di malattie dell’età adulta derivino da situazioni legate all’infanzia. Pensiamo alle malattie cardiovascolari, cardiache, respiratorie, alla bronchite cronica ostruttiva dell’adulto, hanno tutte radici nell’età pediatrica. La fascia di età più utile per applicare una strategia preventiva è proprio l’età pediatrica”, sottolinea Macrì. Dietro queste logiche di prevenzione ci sono d’altronde anche aspetti economici. “Una grossa fetta della spesa del Sistema sanitario nazionale (Ssn) è dedicata alle malattie croniche, che si vedono più di frequente perché si è allungata la speranza di vita. Compaiono in genere dopo la quinta decade- fa sapere il pediatra- e la terapia farmacologica consente il loro controllo ma non la loro risoluzione. Il costo di queste malattie per il Ssn è enorme, quindi la prevenzione delle malattie croniche in età pediatrica offre al Ssn una forte possibilità di risparmio di risorse”.

– Cosa pensa del Manuale dei disturbi mentali (Dsm), lo considera uno strumento utile? “Il Dsm ha una sua rilevanza perché offre una codifica utile per il medico sulla base di alcuni parametri che permettono di prospettare nel paziente la diagnosi di patologia psichiatrica. In qualità di pediatra lo conosco soprattutto per sindromi come il deficit di attenzione e iperattività (Adhd) e l’autismo, o ancora per l’anoressia nervosa. In ogni caso, ho l’impressione che ci debba sempre essere da parte del medico una lettura attenta”, rimarca Macrì. “Mi ha sorpreso che il Dsm-5 rispetto al Dsm IV abbia reso meno restrittivi alcuni criteri rendendo in alcuni campi la diagnosi più frequente. Mi chiedo perché? Forse per anni abbiamo ignorato queste diagnosi? Come succede spesso in medicina, quando esistono degli schemi lo scopo è fornire un supporto importante al medico, ma non deve succedere che il medico, per dedicarsi a questi schemi, dimentichi quello che può essere il suo apporto personale all’interpretazione dei dati che riguardano il paziente. Nell’Adhd il Dsm fissa alcuni criteri, però poi esistono delle differenze sugli negli approcci diagnostici basati su altri protocolli adottati nei diversi Paesi. Questo conferma che deve esserci da parte del medico una capacità personale nell’interpretazione dei criteri”.

– In base alla sua casistica pediatrica, qual è la problematica più frequente? “Agli specializzandi dico sempre ‘il pediatra rischia di perdere il suo ruolo se non apprende il modo di affrontare i problemi di comportamento del bambino’, perché tutto quello che è patologia fisica e organica (malattie acute) viene, in linea di massima, affrontato dai genitori da soli e sulla base dell’esperienza. Le malattie croniche sono invece deferite ai centri di riferimento pediatrici di primo livello. In questo contesto, il pediatra rischia di perdere il suo ruolo, appare a metà strada tra i genitori che fanno da soli e i centri di riferimento. Un’occasione importante è rappresentata dai disturbi del comportamento nell’infanzia, che sono molto frequenti e rappresentano uno dei motivi per cui i genitori si rivolgono al pediatra. Da qui la necessità che si formi e si aggiorni sull’argomento. Bisogna dire che questo bisogno di approfondimento è sentito, infatti nei convegni degli ultimi anni c’è sempre una sessione dedicata alla Neuropsichiatria infantile. Forse- conclude Macrì- il problema dovrebbe essere affrontato in modo più strutturato all’interno delle scuole di specializzazione in Pediatria”.

Visualizza l’intervista su Direnews

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